domenica 19 febbraio 2012

L'associazione "21 luglio" denuncia: Rom a rischio psico-fisico

I Rom stanno pagando sulla loro pelle gli sgomberi ed i continui trasferimenti avvenuti a Roma negli ultimi anni. Dirette conseguenze sulla salute, sia fisica che psichica di adulti, giovani e bambini, costituiscono delle vere e proprie esperienze traumatiche sia a livello individuale che collettivo. E’ questa la sintesi del report “Anime smarrite” presentata ieri pomeriggio a Roma, dall’associazione “21 luglio”, che da tempo si batte per la difesa dei diritti dei Rom. In collaborazione con l’Osservatorio sul razzismo e le diversità ‘M.G. Favara’, il rapporto è stato presentato all’interno del dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Roma Tre. L’evento traumatico sarebbe dovuto soprattutto allo sgombero del campo Rom Casilino 900, il più grande campo Rom della capitale, totalmente dismesso il 15 febbraio del 2010. La ricerca descrive, tramite le storie di vita delle persone che hanno passato parte della loro esistenza all’interno del campo, l’esperienza di una perdita, di un vissuto rubato. Molte sono le persone che raccontano il proprio trasferimento verso altri campi attrezzati o centri di accoglienza predisposti dal Comune di Roma come la privazione di uno spazio familiare, una violenza della memoria sociale legata al campo, la disintegrazione di un centro comunitario verso mille sparse periferie.
Una ferita che stenta a rimarginarsi quindi, e che ha creato sia all’interno del gruppo che nelle coscienze dei singoli individui, delle discrepanze tradotte in disturbi psichici. Forse l’appartenenza al gruppo, era segnata, presso la comunità Rom, dall’appartenenza ad un luogo, spazio fisico e sociale allo stesso tempo, che raccoglieva e accoglieva la comunità, creando un forte legame ed una coesione interna. Sgomberare il campo, e trasferire conseguentemente diverse famiglie che lo abitavano presso realtà abitative provvisorie e percepite come marginali, ha segnato una lacerazione profonda sul vissuto del gruppo, violentando le storie della collettività fatte di ricordi, di immagini, di oggetti, legati proprio al Casilino ‘900.
Le conseguenze a livello individuale sono drammatiche. Un mix esplosivo di sintomatologie fisiche e psichiche, stanno mettendo in ginocchio molti componenti della comunità Rom. Nel report si leggono casi di forte emicrania, di attacchi di panico, di insonnia, allucinazioni, sintomi depressivi, stati di ansia. In questo modo, sfruttando il pregiudizio e il senso comune che i Rom siano una popolazione nomade, secondo l’associazione 21 luglio, si è legittimata la violazione del loro diritto alla casa. Si sono, sempre secondo la stessa associazione, negati ai Rom i diritti alla salute, all’istruzione dei minori, all’integrità personale.
19feb12

Stranieri: 7su 10 vivono in Italia in condizioni di disagio

In Italia sette stranieri su dieci vivono in condizioni di forte disagio, che ha delle conseguenze profonde sul loro benessere sociale e psichico. Il 10% degli stranieri soffrirebbe inoltre di disturbi psicologici evidenti. E’ quanto emerso in occasione del convegno “Salute della popolazione migrante”. Promosso dalla rete ‘Italian National Focal Point’ dell’Istituto superiore di sanità (Iss). I dati sono il risultato di una ricerca condotta su un campione di 391 migranti visitati dal servizio di medicina generale del poliambulatorio della Caritas di Roma per persone che si trovano in condizioni di fragilità sociale. Il 73,65% degli immigrati non inseriti e dei richiedenti asilo politico manifesterebbe delle gravi difficoltà a vivere nel nostro Paese, e il 10% avrebbe accusato un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Il rischio di accusare un tale sintomo inoltre, aumenta di 1,19 volte per ogni difficoltà post-migratoria in più.
Il disturbo post-traumatico da stress, spiega il dott. Massimiliano Aragona, psichiatra del progetto Caritas Ferite Invisibili, «porta l'individuo a vivere in uno stato emotivo di forte allarme, con pensieri intrusivi e ricorrenti delle esperienze traumatiche vissute, difficoltà a concentrarsi, insonnia, incubi, tendenza a isolarsi per paura di subire nuove violenze, dolori e altri sintomi somatici su base psicologica». La tendenza a vivere isolatamente ed in preda a pensieri ricorrenti delle esperienze dolorose passate, ad esempio violenze o maltrattamenti, pone dunque l’individuo che soffre di tali disturbi ad isolarsi dal contesto sociale più ampio, e ad avere grandi fatiche nella vita quotidiana. Non riuscendo a concentrarsi, può riscontrare delle difficoltà nell’apprendimento, con profondi ostacoli nello studio e nel lavoro. Ne risultano seriamente compromesse le normali funzioni e attività di tutti i giorni. Il rifugiato che soffre di disturbo post-traumatico da stress potrebbe essere così spaventato, ad esempio, da non andare in questura per presentare i documenti necessari al riconoscimento del suo status, dato che la vista di una guardia potrebbe ricordargli le violenze subite in patria da uomini in divisa. E’ dunque facilmente intuibile come queste persone attraversino delle incredibili crisi e non riescano agilmente ad inserirsi nel tessuto sociale.
Inoltre, se si aggiungono ai disturbi psicologici, altre avversità come la discriminazione o il razzismo, presenti nel contesto sociale italiano, ci si accorge di come la vita per i rifugiati e per i migranti non inseriti, diventi, nel nostro Paese, del tutto impossibile. Invece di prendersi cura di personalità fragili e vulnerabili, si preferisce, in Italia, sottoporle ad ulteriori umiliazioni, dovute al colore della loro pelle o a tratti somatici evidenti. Così, persone sofferenti vengono accantonate e abbandonate a loro stesse con l’aiuto di affermazioni del tutto prive di fondamento.

19feb12

domenica 25 dicembre 2011

L'occhio vigile

Lavorare con turni di 12 ore, dalle 7 della mattina fino alle 7 della sera, per una paga di 1200 € al mese, in condizioni critiche. E' quanto accade alla maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori di alcuni discount, in Italia, costretti a condizioni di lavoro inaccettabili. Ma non sono soltanto i marchi meno conosciuti a non applicare le regole sindacali del contratto nazionale dei lavoratori. A farlo, infatti, sono anche catene della grande distribuzione come la Coop e la Esselunga, al cui interno regna sovrana una completa deregolamentazione.

E' quanto emerge da una nostra intervista con Saverio Pipitone, co-autore, insieme a Monica di Bari del libro-inchiesta Schiavi del supermercato, nonché autore del testo Shock Shopping, che analizza l'evoluzione delle diverse forme strutturali della grande distribuzione. Secondo Pipitone in Italia starebbe emergendo un modello di lavoro legato soprattutto alla mancanza delle garanzie contrattuali e dei diritti faticosamente conquistati da duri anni di lotta delle organizzazioni sindacali. Il modello Marchionne, che prevede l'azzeramento di alcuni diritti elementari, come ad esempio quello delle brevi pause durante l'orario di lavoro, ricalcherebbe in maniera quasi perfetta le condizioni di lavoro all'interno di alcune catene di supermercati e ipermercati, dalle quali prenderebbe le mosse. All'interno dei centri commerciali infatti, tra il 2005 e il 2006, si sarebbero adottate particolari discipline nei confronti dei dipendenti.

E molti sono gli episodi, quasi di violenza fisica e psicologica, di cui si sono resi protagonisti i responsabili dei punti vendita. Innanzitutto ai danni di una cassiera, a cui sarebbe stato impedito di andare al bagno anche se affetta ad una malattia ai reni, e in secondo luogo nei confronti di altri dipendenti, per la maggior parte extracomunitari, verso i quali si sarebbero manifestate delle vere e proprie forme di ricatto. Ma non finisce qui. Controlli sempre più rigidi della produzione infatti, hanno indotto la direzione aziendale a montare, presso alcuni stabilimenti della Coop Lombardia, un impianto di videosorveglianza, per controllare sia i movimenti che i discorsi dei dipendenti. In questo modo la direzione sarebbe venuta a conoscenza di informazioni che riguardavano la vita privata dei lavoratori. Il lavoro degli uomini e delle donne sarebbe inoltre sostituito in maniera crescente da quello delle macchine, con l'adozione di casse elettroniche e di altri meccanismi di automazione. Ed a nulla sono valsi gli scioperi di alcuni dipendenti se non a suscitare lo stupore e la meraviglia della maggior parte degli acquirenti e dei passanti che si trovavano sul posto in quell’istante.

Sembra dunque avverarsi ciò che Ritzer, all'interno del suo libro “Il mondo alla McDonald’s”, ha analizzato. Le esigenze di una sempre maggiore razionalizzazione, avrebbe indotto il modello produttivo attuale a strutturarsi in base all'efficienza, alla calcolabilità, alla prevedibilità ed al maggiore controllo, grazie alla sostituzione della tecnologia umana con quella strumentale. Un modello così formato si estenderebbe, oltre che alle attività strettamente produttive, anche ad altri aspetti della vita sociale, andando ad intaccare fortemente le autonomie personali, e intervenendo pesantemente all'interno della vita privata di ogni cittadino. Forse nel futuro si comincerà a parlare di esselunghizzazione o di coopizzazione del mondo, o almeno dell’Italia

Hiv sotto osservazione

Il forum della società civile sull'Hiv e sull'Aids ha deciso di monitorare l'attività governativa riguardo alle attività politiche, sociali e sanitarie messe in atto in Italia, allo scopo di combattere la diffusione e di prevenire gli sviluppi del virus Hiv e dell’Aids. A partire dal primo dicembre sarà questa l'attività fondamentale delle circa 100 associazioni che compongono il Forum, e che si stanno muovendo in base ai principi sottoscritti nella Dichiarazione di Roma, stilata dallo stesso forum il 12 luglio 2011.

Il monitoraggio avverrà sulla base di 24 indicatori,che prendono in considerazione diversi punti fondamentali del tema della lotta all'Aids/Hiv. Innanzitutto il contesto generale e le politiche di prevenzione messe in atto dal Governo e dagli enti preposti. Poi punti specifici di diversa rilevanza, come la stigmatizzazione a cui i malati di Aids o gli affetti da Hiv vanno incontro, la loro privacy che viene spesso violata, le diagnosi, la ricerca scientifica e le politiche antidroga. Infine, il 24 indicatori tengono conto anche dell'impegno internazionale nella lotta contro l'Aids. Tutto nasce da una semplice constatazione. Nell'ambito della lotta all'Aids e all'Hiv, l'attività del Governo italiano e degli enti preposti alla prevenzione ed alla cura della malattia, risulta essere paralizzata per motivi poco comprensibili. Per questo motivo il forum ha deciso di monitorare anche le istituzioni periferiche, ad esempio le Regioni, resesi spesso complici della noncuranza del Governo centrale. Altre semplici osservazioni, effettuate dallo stesso forum, riguardano fatti eclatanti. L'Istituto Superiore di Sanità, presentando i dati sull'Hiv e Aids, ricorda infatti che oltre un terzo delle nuove diagnosi di Hiv viene diagnosticata in fase avanzata, con serie compromissioni del sistema immunitario. Dal 1996 ad oggi, inoltre, due terzi delle persone malate di Aids, non ha effettuato alcuna terapia antiretrovirale per contrastare il decorso della malattia. Inoltre per l'80,7% delle nuove infezioni la causa è' rintracciabile nei contatti sessuali non protetti.

Se è vero che l'Aids e l'Hiv continuano ad essere piaghe sociali preoccupanti per l'intero sistema sanitario nazionale e per le conseguenze di stigmatizzazione sociale dei malati presso l'opinione pubblica, è altrettanto vero che i dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità mostrano un'indolenza politica e sanitaria crescente. Una disattenzione nella prevenzione che ha le sue profonde ricadute sociali ed economiche sulla collettività intera. Parafrasando uno slogan di uno spot pubblicitario, prevenire è meglio che curare.

A secco

Vivere in Italia costa sempre di più. In aumento infatti non sono i beni di lusso o gli oggetti superflui, ma i beni di prima necessità e le fonti necessarie al sostentamento. L'Unione petrolifera ha calcolato infatti la spesa relativa al fabbisogno energetico delle famiglie italiana, dichiarando l’ammontare, per il 2011, di 61,9 miliardi di euro, 8,9 miliardi in più rispetto al 2010. La stessa Unione petrolifera ha stimato per il 2012 un ulteriore incremento della spesa energetica, attorno a 65,3 mld di euro. Sembra quindi che vivere all'interno dei confini del Belpaese stia diventando sempre più difficile, non soltanto per le condizioni poco gratificanti in cui versa la realtà giovanile, spesso alle prese con lavori precari e poco gratificanti, ma anche per la spesa, sempre più gravosa, che le persone devono affrontare per far fronte al fabbisogno energetico. Ad incidere su tutte le voci di spesa a riguardo dei petroli e dei carburanti sono innanzitutto le imposte dell'Iva e delle accise, continuamente ritoccate e rivisitate dalla manovra finanziaria, l'ultima, ma non la meno pesante, quella del Governo Monti. Per quanto riguarda il 2011 le tasse sui carburanti e sugli altri olii minerali è salito a 37,5 miliardi, il 6,3% in più rispetto al 2010.

A dare il colpo di grazia ad un panorama già così insostenibile per gli aumenti sempre più pressanti del costo della vita, ci ha pensato il livello delle retribuzioni lorde, che segnano, su base annua, la crescita più bassa dal terzo trimestre del 2009, e a livello congiunturale registrano il minimo storico dal primo trimestre dello stesso 2009. Analizzando in dettaglio i dati nel settore industriale gli aumenti maggiormente significativi nelle retribuzioni si registrano nell'estrazioni di minerali da cave e miniere, a causa soprattutto della concessioni di consistenti incentivi ad alcune grandi aziende. Nel terziario sono invece i servizi di alloggio e ristorazione ad avere un relativo aumento delle retribuzioni, mentre in forte calo appare il settore dei trasporti e del magazzinaggio. Lo rende noto l'Istat sulla base delle serie storiche che tengono conto delle unità di lavoro equivalenti a tempo pieno. In generale però, a livelli retributivi sempre più in declino, si aggiungono spese per il riscaldamento, la benzina e le fonti di energia, sempre crescenti. L'attuale aumento delle accise sui carburanti da parte del Governo Monti, allo scopo di fare cassa e cercare di risanare in parte il bilancio pubblico, sta già dando i suoi frutti: rendere ancora più precaria e instabile l'esistenza già difficile di milioni di cittadini, che dovranno tirare ulteriormente la cinghia per arrivare a fine mese.

L'agonia dell'informazione

Una strage silenziosa ma che ha i suoi effetti deleteri sul sistema della comunicazione e dell’informazione internazionale. Sarebbero 66 i giornalisti uccisi nel solo 2011 in tutto il mondo. E’ l’amaro bilancio presentato da un rapporto di Reporter sans frontières, l’associazione che raggruppa diversi giornalisti e operatori dell’informazione del globo. In aumento esponenziale rispetto al 2010, con un incremento di ben 16 punti percentuali, i decessi violenti di coloro che fanno dell’informazione il loro mestiere sarebbero sparsi in diversi Paesi. Nella sola Libia, in circa 10 mesi, sono stati uccisi 5 giornalisti; sono 20 invece quelli ce hanno perso la vita durante il racconto delle vicende della Primavera Araba. Ma il Paese che più annienta in modo ineccepibile i professionisti dell’informazione è il Pakistan, con 10 giornalisti ammazzati durante l’anno. Un altro bilancio è quello dell’organizzazione americana Cpj. In questo caso i numeri sono leggermente differenti rispetto a quelli di Reporter sans frontières, ma confermando una situazione particolarmente allarmante per chi è testimone diretto della realtà e di scenari spesso di guerra, che cerca di raccontare.

Alle morti poi si aggiungono i 3003 giornalisti che sono stati arrestati, minacciati, feriti, e riempiti di botte, addirittura bastonati. 73 sono stati costretti a lasciare il loro Paese, 71 sono stati rapiti. Tra i morti spiccano nomi di eccellenza, come Tim Hetherington, noto fotoreporter che lavorava per il New York Times, in odore di Oscar per un suo documentario, che il 20 aprile di quest’anno è stato ucciso, mentre sbarcava sul porto di Misurata. Accanto a sé un altro fotoreporter di razza, Chris Hondros, una nomina al premio Pulitzer al suo attivo. Ed alla fine la notizia della loro uccisione valse soltanto poche righe all’interno di qualche testata, niente di più. Professionisti così importanti vengono alla fine ricordati con un trafiletto, o accomunati in una lista di fine anno in cui si fanno i conti delle persone che hanno perso la vita per mediare una realtà, che appare talvolta anche scomoda.

Una strage, oltre che delle persone fisiche, anche dei siti e dei blog virtuali, che tanto contribuiscono alla formazione dell’opinione pubblica, esprimendo una visione diversa dei fatti, a volte necessaria e avulsa da ogni logica di potere e controllo. Nel solo 2011 infatti sono stati arrestati, 199 bloggers, un numero sempre crescente, indice di una repressione delle diverse fonti della verità che dall’Iran alla Cina aumenta sempre in maniera esponenziale. Nel’attuale contesto sociale, fatto di informazione e comunicazione, il lavoro dei giornalisti appare sempre più necessario, per cercare di fare ordine all’interno di un agglomerato pulsante fatto di voci, informazioni, smentite, che si susseguono vorticosamente nello spazio di pochi attimi. Perdere un giornalista quindi equivale a perdere un filtro per districarsi in una matassa di idee e concetti sempre più contorta, perdere un mezzo per cercare di decodificare una realtà sempre più complessa e sfuggente.

Catanzaro: 41 anni fa muoiono 71 studenti

Era l’alba del 23 dicembre 1961. Molti studenti si apprestavano a prendere il treno che, come ogni mattina li conduceva a scuola. Venivano da piccoli paesini della provincia e su quel treno, carico di pendolari, andavano ogni mattina verso Catanzaro. E’ lì che ci sono le scuole, è lì che gli adolescenti vanno a studiare per cercare di sollevare le proprie coscienze, per cercare di trovare nei libri il mezzo di emancipazione che i loro padri e i loro nonni non hanno potuto avere, troppo impegnati al lavoro nelle campagne, schiavi di una condizione sociale che li ha resi piegati, sottomessi alle logiche della terra e della stagionalità naturale. Eh sì, perché anni prima la campagna non era il luogo di gioiose scampagnate fuoriporta, dove trascorrere le giornate fra passeggiate nei boschi ammirando il panorama. All’epoca la campagna era il luogo del lavoro nei campi, del sole che spacca la pelle, del sudore e della fatica. Le speranze erano quelle di studiare, per cercare di trovare scampo da quella condizione, nella certezza che un titolo di studio fosse il viatico per una vita migliore, un lavoro dignitoso e meno faticoso. Ed allora era possibile. Lo studio era ancora il mezzo per “avanzare” all’interno della società, per “arrivare”. Ma le speranze vengono ben presto disattese, spezzate dal cedimento di un cavo che collega il locomotore dal vagone. Hanno un nome quei pezzi del treno. L’automotrice si chiama Breda M2 123 e il rimorchio è Breda RA 1006. All’interno di quest’ultimo viaggiano 99 passeggeri, nella maggior parte studenti. Nell’aria si respira già l’atmosfera natalizia, la voglia delle vacanze, dei regali, dei dolciumi e del calore del camino. Un’ora dopo la partenza dalla stazione di Soveria Mannelli però, succede l’irreparabile. Il treno sta transitando sopra il viadotto del torrente Fiumarella, a 40 metri circa d’altezza. Il gancio di trazione di tipo tranviario si rompe. Sono le 7 e 45 quando il rimorchio esce dal binario e precipita nel torrente. E’ un disastro. 71 passeggeri muoiono sul colpo, gli altri rimangono gravemente feriti. E con quelle morti se ne vanno le speranze di affrancamento dalla condizione di sofferenza a cui la terra spesso sottopone l’uomo. Se ne vanno i barlumi di libertà, di emancipazione. Si vanifica il sacrificio di quelle famiglie che hanno fatto di tutto per far studiare i figli, per farli “progredire” all’interno del tessuto sociale. Come spesso accade la colpa dell’accaduto viene addossata all’ultima pedina dell’intero meccanismo, tappandosi gli occhi le orecchie, la bocca e il naso, per non rintracciare responsabilità superiori. E’ il macchinista che guidava a 60 km/h invece che a 30 km/h. Lui ammette tutte le colpe e piange disperato. In realtà, però, quel tratto di ferrovia versava già in pessime condizioni. La linea era infatti stata progettata per sopportare carichi di 8-9 tonnellate, ma via via, nel tempo, con l’avvento di nuovi mezzi più pesanti e veloci aveva subito un degrado crescente, risultando pericolosa in più punti. Ma su questo è meglio tacere, è meglio non indagare oltre, è meglio calare un velo di silenzio, bianco, come quello stesso sui corpi delle vittime.