domenica 25 dicembre 2011

Catanzaro: 41 anni fa muoiono 71 studenti

Era l’alba del 23 dicembre 1961. Molti studenti si apprestavano a prendere il treno che, come ogni mattina li conduceva a scuola. Venivano da piccoli paesini della provincia e su quel treno, carico di pendolari, andavano ogni mattina verso Catanzaro. E’ lì che ci sono le scuole, è lì che gli adolescenti vanno a studiare per cercare di sollevare le proprie coscienze, per cercare di trovare nei libri il mezzo di emancipazione che i loro padri e i loro nonni non hanno potuto avere, troppo impegnati al lavoro nelle campagne, schiavi di una condizione sociale che li ha resi piegati, sottomessi alle logiche della terra e della stagionalità naturale. Eh sì, perché anni prima la campagna non era il luogo di gioiose scampagnate fuoriporta, dove trascorrere le giornate fra passeggiate nei boschi ammirando il panorama. All’epoca la campagna era il luogo del lavoro nei campi, del sole che spacca la pelle, del sudore e della fatica. Le speranze erano quelle di studiare, per cercare di trovare scampo da quella condizione, nella certezza che un titolo di studio fosse il viatico per una vita migliore, un lavoro dignitoso e meno faticoso. Ed allora era possibile. Lo studio era ancora il mezzo per “avanzare” all’interno della società, per “arrivare”. Ma le speranze vengono ben presto disattese, spezzate dal cedimento di un cavo che collega il locomotore dal vagone. Hanno un nome quei pezzi del treno. L’automotrice si chiama Breda M2 123 e il rimorchio è Breda RA 1006. All’interno di quest’ultimo viaggiano 99 passeggeri, nella maggior parte studenti. Nell’aria si respira già l’atmosfera natalizia, la voglia delle vacanze, dei regali, dei dolciumi e del calore del camino. Un’ora dopo la partenza dalla stazione di Soveria Mannelli però, succede l’irreparabile. Il treno sta transitando sopra il viadotto del torrente Fiumarella, a 40 metri circa d’altezza. Il gancio di trazione di tipo tranviario si rompe. Sono le 7 e 45 quando il rimorchio esce dal binario e precipita nel torrente. E’ un disastro. 71 passeggeri muoiono sul colpo, gli altri rimangono gravemente feriti. E con quelle morti se ne vanno le speranze di affrancamento dalla condizione di sofferenza a cui la terra spesso sottopone l’uomo. Se ne vanno i barlumi di libertà, di emancipazione. Si vanifica il sacrificio di quelle famiglie che hanno fatto di tutto per far studiare i figli, per farli “progredire” all’interno del tessuto sociale. Come spesso accade la colpa dell’accaduto viene addossata all’ultima pedina dell’intero meccanismo, tappandosi gli occhi le orecchie, la bocca e il naso, per non rintracciare responsabilità superiori. E’ il macchinista che guidava a 60 km/h invece che a 30 km/h. Lui ammette tutte le colpe e piange disperato. In realtà, però, quel tratto di ferrovia versava già in pessime condizioni. La linea era infatti stata progettata per sopportare carichi di 8-9 tonnellate, ma via via, nel tempo, con l’avvento di nuovi mezzi più pesanti e veloci aveva subito un degrado crescente, risultando pericolosa in più punti. Ma su questo è meglio tacere, è meglio non indagare oltre, è meglio calare un velo di silenzio, bianco, come quello stesso sui corpi delle vittime.

Nessun commento:

Posta un commento