domenica 25 dicembre 2011

L'agonia dell'informazione

Una strage silenziosa ma che ha i suoi effetti deleteri sul sistema della comunicazione e dell’informazione internazionale. Sarebbero 66 i giornalisti uccisi nel solo 2011 in tutto il mondo. E’ l’amaro bilancio presentato da un rapporto di Reporter sans frontières, l’associazione che raggruppa diversi giornalisti e operatori dell’informazione del globo. In aumento esponenziale rispetto al 2010, con un incremento di ben 16 punti percentuali, i decessi violenti di coloro che fanno dell’informazione il loro mestiere sarebbero sparsi in diversi Paesi. Nella sola Libia, in circa 10 mesi, sono stati uccisi 5 giornalisti; sono 20 invece quelli ce hanno perso la vita durante il racconto delle vicende della Primavera Araba. Ma il Paese che più annienta in modo ineccepibile i professionisti dell’informazione è il Pakistan, con 10 giornalisti ammazzati durante l’anno. Un altro bilancio è quello dell’organizzazione americana Cpj. In questo caso i numeri sono leggermente differenti rispetto a quelli di Reporter sans frontières, ma confermando una situazione particolarmente allarmante per chi è testimone diretto della realtà e di scenari spesso di guerra, che cerca di raccontare.

Alle morti poi si aggiungono i 3003 giornalisti che sono stati arrestati, minacciati, feriti, e riempiti di botte, addirittura bastonati. 73 sono stati costretti a lasciare il loro Paese, 71 sono stati rapiti. Tra i morti spiccano nomi di eccellenza, come Tim Hetherington, noto fotoreporter che lavorava per il New York Times, in odore di Oscar per un suo documentario, che il 20 aprile di quest’anno è stato ucciso, mentre sbarcava sul porto di Misurata. Accanto a sé un altro fotoreporter di razza, Chris Hondros, una nomina al premio Pulitzer al suo attivo. Ed alla fine la notizia della loro uccisione valse soltanto poche righe all’interno di qualche testata, niente di più. Professionisti così importanti vengono alla fine ricordati con un trafiletto, o accomunati in una lista di fine anno in cui si fanno i conti delle persone che hanno perso la vita per mediare una realtà, che appare talvolta anche scomoda.

Una strage, oltre che delle persone fisiche, anche dei siti e dei blog virtuali, che tanto contribuiscono alla formazione dell’opinione pubblica, esprimendo una visione diversa dei fatti, a volte necessaria e avulsa da ogni logica di potere e controllo. Nel solo 2011 infatti sono stati arrestati, 199 bloggers, un numero sempre crescente, indice di una repressione delle diverse fonti della verità che dall’Iran alla Cina aumenta sempre in maniera esponenziale. Nel’attuale contesto sociale, fatto di informazione e comunicazione, il lavoro dei giornalisti appare sempre più necessario, per cercare di fare ordine all’interno di un agglomerato pulsante fatto di voci, informazioni, smentite, che si susseguono vorticosamente nello spazio di pochi attimi. Perdere un giornalista quindi equivale a perdere un filtro per districarsi in una matassa di idee e concetti sempre più contorta, perdere un mezzo per cercare di decodificare una realtà sempre più complessa e sfuggente.

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